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LA SVOLTA GRAMSCIANA DELLA DESTRA AL POTERE

  • Immagine del redattore: Gilberto
    Gilberto
  • 12 ott
  • Tempo di lettura: 1 min

Lenin la sosteneva pragmaticamente e Gramsci la strutturò teoreticamente: parlo della sovrapposizione del Partito allo Stato, una giustapposizione che consente il controllo totale delle attività statali attraverso l'organizzazione del partito unico.

Forma di controllo per la quale se non si è iscritti al partito nulla si combina, particolarmente caatterizzante, fino a ieri, le amministrazioni a guida postcomunista ma oggi divenuta forma strutturale anche, a quanto si vede, nel centro destra.

Forse iniziò in Lombardia, sotto l'egida delle Compagnie delle Opere che controllavano fiumi di contributi e fondi europei indirizzandoli a questo o quell'ente prossimo per vicinanza o iscrizione alla Compagnia, ma indipendentemente da chi avviò il processo la formula si ripete, oggi manifesta anche in provincia.

Nulla di nuovo sotto al sole, si dirà, se non veder camminare per strada persone che interpretano piuttosto bene il ruolo del Federale che fu del compianto Tognazzi o del Potestà nel medesimo film. Soggetti che trovano nel potere del partito l'essenza del loro sentirsi – e esibirsi – potenti, cose che capitano quando alla competenza si preferisce la fedeltà, sicchè si nominano senatori i propri ronzini, emulando Caligola, trascurando il sapere e le capacità di governo o d'amministrazione.

Speravamo, noi ingenui, che il male Gramsciano contagiasse quei partiti che nel proprio DNA covano forme lobbistiche e gruppi di influenza, comitati d'affari e consorterie di varia natura, ma tocca osservare che quel male si è esteso, diventando pandemico partitico, contagiando anche chi non era ricattabile, trasformando linde associazioni in nuove consorterie.

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