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CAPITALE E RIVOLUZIONE

  • Immagine del redattore: Gilberto
    Gilberto
  • 6 ott
  • Tempo di lettura: 3 min

Da Gaza a Parigi il modello neoliberista si replica con i suoi effetti collaterali: forse in Europa può germinare un nuovo modello politico di opposizione.


Oggi, 6 ottobre, all'interno della trasmissione televisiva “L'Aria che tira” si parlava di un argomento che sollevai la scorsa settimana (cfr “Economia, Tecnocrazia e Religione” del 5 ottobre scorso) ovvero se la proposta di accordo per la “nuova Palestina” sia da definirsi “ipotesi politica” oppure non sia altro che un “Business plan” in grado di coinvolgere interessi molteplici di Grandi Capitali.

Propendo più per la teoria del Business Plan e osservo come il Grande Capitale (sia privato che afferente i Fondi Sovrani tanto occidentali che dei Paesi Arabi) ha per obiettivo esclusivo la riproduzione di se stesso.

Nella logica del nuovo Capitalismo a trazione trumpiana solo il Capitale ha diritti e detta le regole, mentre il Popolo (comunque inteso) può essere trasferito, espulso, esiliato, richiamato, assunto o licenziato senza altra motivazione dell'interesse del Capitale.

In questa logica si deve leggere – e interpretare – la deriva politica assunta dall'Occidente intero, ovvero in un blocco economico dove il 5% del Capitale controlla e gestisce il 45% della ricchezza, dove i diritti dei lavoratori sono stati prima riformati e poi accantonati, dove la leva finanziaria ha assunto il controllo sia dell'economia che della politica, causando non lievi problemi alle economie nazionali.

Vale la pena infatti osservare come tutte le economie nazionali occidentali (USA, Francia, Inghilterra, Italia e Germania) siano gravate da immensi debiti, tanto pubblici quanto privati e come quegli stessi debiti rispondano ad obbligazioni e servitù politiche espresse nei confronti dei vari Fondi Monetari Internazionali e Banche Centrali, e più che debiti sono cappi al collo dei governi a cui viene impedito di agire diversamente rispetto ai desiderata finanziari.

Così la “politica” scompare a fronte del prevalere finanziario, ma forse qualche clausola di resistenza, un guazzabuglio ideologico di protesta che va da Ezra Pound a Trotzkij, si comincia a individuare.

Le fiumane di persone scese in piazza a sostegno della causa palestinese rappresentano la punta dell'iceberg dello scontento popolare che attraversa sia tutti gli strati economici della vecchia classe media sia quelli generazionali: la ferocia della repressione dell'esercito israeliano sulla popolazione civile accompagna un progetto di “sistemazione territoriale” che, a sua volta, non tiene in alcun conto delle ragioni della popolazione residente, mostrando in chiarezza l'animo profondo del Capitale che assume come valide solamente le proprie motivazioni.

In Inghilterra poche settimane addietro sono scese per le strade a manifestare contro le politiche migratorie centinaia di migliaia di persone: manifestazione “di destra”, scrivono in molti, ma manifestazione avversa al neo liberismo che progetta e favorisce la clandestinità per meglio sfruttare la manodopera impaurita e mettere poveri contro poveri nella spietata lotta al ribasso salariale.

Il nuovissimo Governo francese firmato Lecornu è durato una notte e la Francia è pronta ad una nuova esplosione di piazza, contraria alle forme di governo suggerite dal mondo finanziario e sostenute ad alta voce da un'Unione Europea che mai come ora è stata lontana dal sentimento popolare.

A Parigi si incontrano in forma antigovernativa e specificamente antipresidenziale, considerando che Macron era ed è l'espressione del mondo finanziario parigino, sia il desiderio di statalismo e dirigismo in capo alla sinistra, sia quello di autoritarismo autocratico proposto dalla destra, e non è detto che in tempi brevi non si avvii un governo delle opposizioni unite, formula che eviterebbe una ulteriore radicalizzazione protestataria ma rappresenterebbe nel contempo la fine del progetto Europeo per come oggi è disegnato.

Si sa che ai francesi piace dare il La alle rivoluzioni continentali: l'ultima volta fu per l'Illuminismo, ora, forse, sarà per il Tecnicismo, sorta di tecnocrazia degli illuminati che non ama la globalizzazione e vigila sulle frontiere facendosi beffe del neoliberismo.

Ipotesi che farebbe reagire il Capitale, stringendo i cordoni della borsa e il nodo scorsoio del cappio al collo rappresentato dal debito pubblico: ipotesi raggelante nelle sue declinazioni possibili.

Si tratterebbe, però, di un avvicinamento al modello di governo cinese, di Singapore o russo, una tecnocrazia a democrazia limitata che abbia a cuore gli interessi e le esigenze popolari accantonando quelle della finanza globale e neoliberista.

Sarebbe rivoluzione. E sarebbe anche ora.


ree

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