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GLI ALTRI

  • Immagine del redattore: BorZorro
    BorZorro
  • 8 feb
  • Tempo di lettura: 2 min

Gli altri li sopporto poco e forse li sopporto poco perché a loro volta i miei altri non sopportano gli altri. I loro altri, ovviamente.

Gli altri, i miei altri, frequentano pochi altri e appena possono li criticano, molto indispettiti dal fatto che a volte vengono a sapere che altri li hanno a loro volta criticati.

Per questo sopporto poco gli altri: li trovo chiusi, infidi, quasi mai sinceri.

Faccio parte degli orsi, dei grizzly, dei misantropi che gremiscono i condomini, degli eremiti urbani al confronto dei quali il Grinch è un animatore del Club Med.

Gli altri, comunque, qualcun altro lo frequentano: si incontrano, si sorridono, passeggiano, bevono, si nutrono, danzano, a volte copulano e fino a quando eseguono quelle azioni in silenzio riescono persino a sopportarsi.

È quando iniziano a parlare che si divengono reciprocamente antipatici, poi incomprensibili, persino odiosi, infine ridicoli e nulla è peggio della ridicolaggine, si sa.

È tutto quel parlare che rovina le relazioni.

Quel domandare, chiedere, investigare, approfondire, cercare e ancora tutto quello spiegare, affermare, evidenziare, sottolineare, specificare, approfondire, argomentare, quelle complicate architetture di io dico, io credo, io penso, secondo me; quelle foreste di io ritengo, tu dovresti, ascolta, capisci; barriere di parole che come persorsi obbligati di filo spinato confluiscono in inevitabili tu non mi ascolti, io non ti capisco.

Straordinario paradosso che l'incomprensione sia figlia delle parole.

Gli altri, poi, giudicano gli altri, ingiudicati ai propri occhi.

Li vedi per strada che si incontrano e si sorridono e poi allontandosi mormorano a se stessi frasi di aperta condanna, sentenze passate in giudicato per come crescono i figli, per come gestiscono le relazioni affettive, per le vicende sentimentali, per i comportamenti, per come vestono, per chi frequentano, per come camminano, per le vicende che hanno vissuto, per i si dice a loro carico, per come vivono e forse, persino, per come pensano e mal sopportano, e fingono di ignorare, che l'incontrato appena allontanato a sua volta mormora su di loro epiteti, giudizi, valutazioni non proprio gratificanti, in tutto simili alle loro proprie espressioni.

Giudizio ch'a nullo giudicato giudicar perdona.

Gli altri, a volte e infine, si innamorano di altri. Del riflesso di ciò che in loro latita e forse brilla, temporaneamente, negli altri.

Ho conosciuto amanti muti il cui amore erotico è durato a lungo nel tempo. Si incontravano, si annusavano, si eccitavano e si amavano senza scambiare mai una parola. Così la loro passione è rimasta intatta, immutata, durevole e duratura.

Gli altri che dicono di amarsi lo dicono, appunto, e nel dire, parlare, esprimere, domandare, esortare, spiegare, convincere, in tutto quello scavare nelle paludi delle emozionii, delle passioni confuse coi sentimenti gli amori sfioriscono, appassiscono, divengono automi che agiscono per consuetudine negandosi ogni spontaneità nel desiderio di compiacere l'altro.

Oppure esplodono nella rivendicazione, nell'insopportazione, nella recriminazione, nell'insopportabile litania della reciproca incomprensione.

Così è lecito domandarsi se non siano le parole, le parole degli altri, a uccidere l'amore.



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