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IL COMPLESSO ITALIANO DEL CAMERIERE

  • Immagine del redattore: gilberto borzini
    gilberto borzini
  • 17 mag
  • Tempo di lettura: 3 min

Da non poche aree del meridione d'Italia si eleva la protesta contro la “turistizzazione” dei territori: non si vuole diventare i “camerieri” degli europei. La questione merita una riflessione non superficiale.


In un Paese poco più che post feudale sotto il profilo dei diritti dei subalterni l'idea di “essere camerieri” è terrificante: la proiezione di un sé prono ai desideri di sconosciuti potenzialmente arroganti, e per di più per un apaga miseranda, è evidentemente oltremodo sgradevole.

Nei miei otto anni siciliani ho ben compreso come in gran parte del meridione il concetto di “diritto del lavoratore” è sostituito da quello di “ benevola concessione” da parte del datore di lavoro, o peggio ancora del caporale, del capetto, del capufficio, del burocrate che alla giurisprudenza sostituisce la propria inoppugnabile volontà.

Nei miei anni americani, diciannove, ho conosciuto decine di affermati professionisti e imprenditori fieri di aver contribuito a sostenere i costi del college e degli anni di praticantato o avviamento avendo fatto il cameriere o altre mansioni apparentabili.

La differenza tra i due mondi è, sostanzialmente, culturale: qui il “cameriere” è servo, là è funzionale al ricevere un servizio altrimenti indisponibile.

Il timore meridionale dell'essere “cameriere” dipende dalla percezione culturale di ampie parti del territorio del ruolo, della mansione e della gerarchia implicita nel termine, nella “rappresentazione mentale” del termine “cameriere”.

Ora, se pensiamo a come la Spagna uscì dagli anni miserrimi del franchismo per generare una nuova economia diffusa non possiamo che ricordare l'incredibile sviluppo del turismo costiero e balneare che dalla metà degli anni '70 in poi ha reso la Spagna una delle Nazioni peculiari dell'Unione, con elevata occupazione e imprenditoria diffusa.

La paragonabilità territoriale e climatica tra coste iberiche e geografia del meridione italiano consente di immaginare una paragonabilità economico produttiva, ma se non incidiamo sul contesto culturale in modo da trasformare l'idea del lavoro subordinato da quella del servaggio a quella del diritto difficilmente potremo attribuire al nostro Sud il ruolo economico che, potenzialmente, gli spetta.

Ovviamente non vi è solamente l'aspetto culturale: ve ne è un altro politico e sistemico che riguarda l'organizzazione territoriale, l'infrastrutturazione, i servizi e i trasporti, un modello, in sostanza, che superi il caotico principio attuale dell'offerta individuale, polverizzata, sviluppata con poco criterio e scarso rispetto delle normative per trasformarsi, o almeno avvicinarsi, ad una forma industriale di turismo.

Va infine ricordato che per decenni nel meridione il turismo è stato prevalentemente organizzato o da potentati locali, in cui “norma e diritto” parevano vocabili inesistenti, o da organizzazioni turistiche di stampo colonialista, pronte a trasferire utili e proventi altrove rispetto al territorio e inclini ad applicare nei territori usati le medesime forme di governo applicate dai potentati locali: in buona sostanza nella maggior parte del meridione italiano il turismo è stato terra di conquista e rapina ben più che di partecipazione e sviluppo.

Ovvio, quindi, il respingimento dell'idea di turistizzare il meridione, del divenire “camerieri” degli europei abbienti.

Servono, allora, ambiziosi Progetti che definiscano la Valorizzazione di ampie aree territoriali a vocazione turistica. Progetti che affrontino e sviluppino i temi dell'Inclusione e della Sostenibilità, del Rispetto (in tutte le sue forme, dall'Ambiente alla Cultura locale) e della Fruibilità, delle Buone Pratiche e del Benessere: servono Capitali Coraggiosi che non solo investano ma diventino promotori nel territorio di forme di valorizzazione che trasformi il “cameriere” in “ambasciatore del proprio territorio e dei suoi valori”.

C'è molto da fare, molta distanza da percorrere, ma si può fare.


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