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BORGHI E TURISMO: GENERIAMO ILLUSIONI ?

  • Immagine del redattore: gilberto borzini
    gilberto borzini
  • 23 lug
  • Tempo di lettura: 4 min

Seguo spesso, con piacere e interesse, trasmissioni come “Generazione Bellezza” in cui si raccontano storie di persone che ridanno vita a piccoli borghi: è tutto molto bello e poetico, ma temo che produca una pericolosa illusione.


E' in corso una sorta di “ritorno all'Arcadia”, un moto culturale che esalta il passato, la vita nei boschi, la pastorizia e la silvicultura oltre, ovviamente, la riscoperta di forme artigianali che ritenevamo irrimediabilmente perdute. Le Storie narrate da Generazione Bellezza e da altre trasmissioni simili, ispirano commozione, fiducia nel possibile, ammirazione per chi ha avuto il coraggio di tornare alle origini, nei paesi degli avi, o in quelle amministrazioni che hanno orientato il decoro urbano all'Arte, ai Murales, a forme possibili di richiamo turistico in grado di divenire volano economico.

Che Arte, Cultura e Artigianato possano essere strumenti utili allo sviluppo economico di territori isolati sembra essere un'idea affermata, salvo poi domandarsi cosa mai accadrà quando, in un futuro prossimo, l'offerta di Paesi Dipinti sarà standardizzata cannibalizzando se stessa: è un po' come quelle scritte superflue che anticipano l'ingresso in alcune Città definite “Città d'Arte”.

Quando le Città d'Arte sono troppe, e in Italia quelle che non ospitano qualche eccellenza artistica sono pochine, il richiamo diviene ininfluente.

Per mesi ho discusso con un Sindaco affermando che la città da lui amministrata poteva e doveva essere denominata “Città degli Artisti”, e sarebbe stato opportuno dedicare almeno una via pedonale a botteghe di artisti locali se davvero aveva in animo di promuovere il turismo.

L'ipotesi derivava dal rilancio di Detroit che, devastata dalla violenza negli anni '70, aveva concesso abitazioni a costi irrisori ad artisti di vario genere e stile, rigenerandosi attorno alla produzione artistica locale. Ovviamente, dato il Sindaco e la sua mentalità, l'ipotesi naufragò, anche perchè l'ipotesi da me proposta esigeva investimento pubblico di un certo valore mentre un cartello “Città d'Arte” posizionato all'ingresso urbano costa meno di un dessert.

Ma torniamo ai borghi.

Una cosa è il rilancio della pastorizia, delle economie derivanti dal mercato della lana e dei filati o del settore caseario, altra cosa è l'ornamento con murales: richiamano turismi diversi o turismi complementari (comunque di modesto cabotaggio) stagionalmente concentrati e che alternano la destinazione in funzione della nomea istantanea (la trasmissione, la notizia, il video, la comunicazione ecc.).

Intendo dire, con questo, che risulta estremamente difficile far quadrare i conti tra gli investimenti necessari per il ricondizionamento della località e i risultati attesi nel medio e nel lungo periodo.

E intendo anche dire che o si ridefinisce l'identità del borgo attorno ad un soggetto economico rilevante, o si rischia di rimanere con l'illusione nel cuore.

I processi aggregativi urbani sono una calamita in tutti i continenti: le grandi città divengono sempre più grandi, le metropoli si trasformano in megalopoli e le aree “scomode” si spopolano.

E si tratta di aree che definiamo “scomode” perchè la viabilità è scarsa, la comunicazione difficile, i servizi assenti: ottimi elementi per definire un contesto di meditazione, che so io un convento o un centro buddista, molto meno per una residenza permanente.

Poi certamente è bello parlare di nuove comunità che nascono e si aggregano attorno ad un progetto, di nomadi digitali che operano da una baita sperduta, ma si tratta di numeri microscopici, di casi talmente sporadici che se non vi fossero trasmissioni come quella indicata o altre simili probabilmente non sarebbero note al potenziale turista.

Paradossalmente, allora, quello che conta maggiormente per il lancio turistico di un borgo è la Comunicazione di ciò che quel borgo può offrire, e conta (ripeto paradossalmente) persino più di ciò che nel borgo realmente si fa.

Naturalmente i casi presentati sono di estremo interesse, di preziosa bellezza, di grande impatto, ma se non vi fossero telecamere e giornalisti, travel blogger e fotografi, internauti e selfisti che si immortalano con un caprone sullo sfondo chi verrebbe a conoscenza dell'offerta praticata?

Da vecchio escursionista e camminatore alpino ho attraversato centinaia di casali abbandonati, di terrazzamenti resi pericolanti dall'abbandono, di pascoli in quota divenuti diseconomici nel moderno modello di allevamento animale, osservando anche come l'abbandono aumenti in ragione della difficoltà d'accesso, perchè il turista contemporaneo vuole arrivare comodo, scendere dal mezzo comodo e fare due passi comodi comodamente meravigliandosi per poi pranzare comodo e acquistare comodo un souvenir da esibire comodamente ad amici e parenti.

Le dinamiche, allora, si complicano.

L'accessibilità è fondamentale e fondamentale è una distanza ragionevole del sito dalle grandi città, dai grandi centri di aggregazione e ancora fondamentale è, come scritto, la comunicazione.

Poco importa se poi ci si trovi a promuovere il pane cotto a legna o le sculture lignee, il liquore di erbe alpine o il formaggio di baita, la visual art o il cinema sotto le stelle: paradossalmente (ripeto) il cuore della sopravvivenza e del lancio turistico del luogo, del sito, del borgo, è dato da elementi terzi: accessibilità e prossimità possono determinare il successo degli investimenti mentre la comunicazione promuove e sostiene nel tempo l'idea di visita e consumo nei mercati di riferimento.

A fronte di questi ragionamenti, allora, non è del tutto errata l'idea dell'accompagnamento ad una dignitosa dimenticanza per un cospicuo numero di borghi in strutturale declino abitativo ed economico: non tutti i borghi dispongono delle caratteristiche principali necessarie per poter essere rilanciati, quanto meno sotto il profilo turistico, e qualsiasi investimento si producesse a loro favore risulterebbe un buco nell'acqua.

ree

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