Leggo frequentemente sulle pagine di questo sito appassionati interventi in cui il cosiddetto transumanesimo, ovvero lo sviluppo di modalità di integrazione tra umano e cibernetico, viene presentato come qualcosa di dis-umano, angosciante e sconcertante.
Mi si permetta, allora, una riflessione.
Per quel poco che sappiamo (non che crediamo, ma sappiamo), Homo Sapiens è la specie con maggiori competenze cerebrali tra le specie conosciute, fermo restando che ogni specie ha forme intellettive adatte ed adeguate alle proprie attività, all'habitat e alle modalità di adattamento all'ambiente.
Di molte altre specie di mammiferi, ma anche di uccelli, conosciamo l'esistenza di forme di linguaggio, diverse dalla nostra, ma non per questo meno utili a scambi di informazioni, di sensazioni e di emozioni, e la nostra conoscenza in materia si sviluppa anno dopo anno, ponendo la nostra specie Sapiens ancora al vertice delle competenze cerebrali ma non in termini di esclusività peculiare.
Nella teoria di Gaia Pianeta Vivente, avviata da Lovelock, la capacità della Terra di adeguare e bilanciare le risorse a favore del mantenimento della "vita", nelle sue diverse forme, è strutturale: un adeguamento che assume la forma dell'adattamento.
Da nessuna parte, però, individuiamo elementi che ci portino a supporre un eventuale "determinismo" di Gaia, se non quello dell'esistenza della Vita in qualsiasi forma.
A meno che non si sposi l'ipotesi creazionista, per cui l'Uomo rappresenta comunque l'apice del creato, nulla impedisce di pensare che la nostra Specie sia una delle tante, e delle possibili, nello sviluppo dell'evoluzione, un'evoluzione che passando dall'adattamento allo spazio fisico circostante penetra nello spazio mentale, premiando l'intelligenza maggiormente prestazionale rispetto alle altre, così come in precedenza premiava il miglior adattamento prestazionale all'ambiente.
Se davvero si vuole un determinismo, perché non immaginare che l'Intelligenza sia la variabile in gioco, e non la Specie in quanto tale?
James Barrat, ne "la nostra invenzione finale", afferma che la vera tematica non è il transumanesimo o l'evoluzione in cyborg, ma saper definire e sviluppare l'Intelligenza Artificiale in modo che non possa pensare di poter fare a meno dell'Uomo.
Che l'I.A. prosegua nel suo corso, a meno di catastrofi plausibili ma non sperabili, è probabile. Che la robotica divenga soggetto utile per la realizzazione di protesi sempre più efficaci ed efficienti, altrettanto. Che la ricerca sia in grado di formulare possibili realizzazioni di cloni dei nostri organi, promettendo vite di lunghissima entità, è nelle corde della ricerca stessa.
Se le tre cose insieme consentiranno di ottenere una Specie più evoluta, intelligente e resistente, e se questa evoluzione prende il nome di Transumanesimo, dovremmo essere tutti entusiasti.
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