IL METAVERSO COME TERAPIA?
Non sorprende che alla psicologia tradizionale, e soprattutto alla psicoanalisi, lo sviluppo del Metaverso dia fastidio.
In effetti lo schema multidimensionale e dalla personalità molteplice, attivabile a piacimento, che il Metaverso offre scardina la tradizione analitica, i termini classici basati su forme culturali rigide, su rappresentazioni schematiche, su affermazioni terapeutiche definite in base ad un concetto di normalità che si basa su un'esperienza empirica socialmente condivisa.
Se la psicoanalisi aveva sostituito la trinità classica del cristianesimo (Padre, Figlio e Spirito) con la propria trinità (Super Io, Ego, Es), oggi il concetto stesso di trinità viene messo in discussione mediante l'emersione della molteplicità, una molteplicità tanto dimensionale quanto psicologica ad accesso volontario e ad alta gratificazione emozionale assicurata.
Se nel Metaverso l'individuo rileva, trova e percepisce gratificazioni che diversamente nel mondo reale gli sono negate, che male c'è?
Potrebbe in quella condizione il Metaverso, e ritengo di sì, essere terapeutico nei confronti di alcuni disagi propriocettivi o depressivi?
Dall'immaginarsi diversi al divenire diversi, coerentemente con l'immaginato, il passo non è particolarmente lungo: nell'ambiente della Programmazione Neurolinguistica è proprio il concetto di imitazione del modello, con la relativa assunzione degli schemi espressivi, a definire il primo passo verso il possibile cambiamento, verso il miglioramento dell'autostima e della affermazione di sé.
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