Facile, oggi, definirsi "giornalisti investigativi". Facile perché è un lavoro da topi di biblioteca, tutto basato sulle documentazioni degli uffici investigativi, sugli incartamenti delle camere di commercio, sulle sentenze dei tribunali e le relative motivazioni.
Facile per un certo giornalismo investigativo televisivo, muoversi con la certezza di solidi uffici legali pronti a tutelare l'operato della cronaca.
Nei tempi in cui ho messo il naso in situazioni e relazioni che avrebbero preferito rimanere riservate non c'erano relazioni, ma ipotesi da seguire, non c'erano incartamenti pronti, ma bisognava crearli: soprattutto bisognava mettere le mani (e la faccia) in situazioni tutt'altro che tranquille, e si lavorava "senza rete" certi del fatto che se individuati nessuno avrebbe mai riconosciuto l'appartenenza.
Si rispondeva a una sola domanda: chi mette i soldi? e a quella semplice domanda rispondeva un'altrettanto semplice risposta: i narco trafficanti.
Hotel, villaggi, resort, residenze, interi quartieri e persino nuove cittadine sono sorte dal nulla, tra gli anni 70 e 90 del secolo scorso, in luoghi più o meno celebrati del turismo, o più o meno adatti a ospitare turismo. I soldi c'erano e i governi (tutti i governi) fingevano di non riconoscerne l'odore in cambio di occupazione e sviluppo economico.
I "giornalisti", quelli i cui articoli finivano in rotocalchi patinati nelle edicole, non ponevano domande: pubblicavano ridenti resoconti delle proprie vacanze pagate, incassavano le parcelle dei publiredazionali e tenevano gli occhi bendati e le orecchie tappate.
Non domandavano "chi paga", non vedevano i disastri ambientali, ritenevano ovvio il fatto che migliaia di ragazze, ovunque nel mondo turistico, si prostituissero ai ricchi occidentali. E facevano pure gli snob.
Chi fosse interessato trova il mio libro qui www.amazon.it/dp/B09GJQ1F89
Comments