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POST LIBERISTI O POST OCCIDENTALISTI?

L'Occidente sembra preda di una brutta malattia: pare che abbia perso l'Identità e si muove nello scenario planetario come farebbe un ubriaco. L'Europa poi, con tutta la sua Storia e la Cultura, oggi fa la fila alla corte del Sultano Erdogan, elargendo doni e promesse, quasi volesse farsi annettere dalla Turchia invece che integrare Ankara nella UE.

Sic transit gloria mundi, si diceva.

Il neoliberismo che coinvolge le nostre esistenze da qualche decennio, ha prodotto danni rilevantissimi: dall'abbattimento del QI medio all'ampliamento dell'ignoranza, come se il "maschio preculturale" che Eurisko indicava come il 10% della popolazione italiana stia oggi per affermarsi come dominante.

Davanti al cambiamento totale e all'incompetenza (sempre più manifesta) della classe dirigente la stessa classe dirigente risponde alle problematiche con strumenti antichi, ripescando come un Mario Capanna qualsiasi straccetti di Marx o cascami di Gramsci, e allora tanto vale Parmenide, anzi forse ha anche più senso.

Dobbiamo però provare a prendere atto che non esiste coincidenza tra Liberismo e Occidentalismo: possiamo essere, e rimanere, occidentali anche affrancandoci dal modello economico attualmente imperante e distruttivo moralmente, socialmente ed economicamente.

Si può e si deve rivendicare il proprio occidentalismo e infrangere il tabù atlantico, ravvisando nell'America non il bastione dell'occidente ma il vulnus culturale e sistemico dell'occidente stesso, un parente malato di una grave malattia che preferisce ignorare contagiando chi gli è vicino.

Siamo l'Occidente, ma di chi? Di quell'Asia che arriva ai nostri confini orientali e con la quale dobbiamo dialogare, discutere, confrontarci.

Se è necessario sviluppare un post liberismo capace di ricostruire etica, morale, socialità, cultura, occupazione e economia, altrettanto urgente è strutturare un post occidentalismo definito e caratterizzato dal nostro essere europei e, per noi italiani, mediterranei in primo luogo.

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