IL SOGNO IMPOSSIBILE DEL NEO ILLUMINISMO
Con la caduta dell'URSS qualcuno scrive che la Storia era finita. Ovviamente non fu così, ne iniziò un'altra all'interno della quale il Capitalismo immaginò di essere rimasto il solo a dare le carte, aspirando quindi ad una gestione globale, planetaria, dell'economia e della necessaria politica liberista di supporto. Fece molte promesse, il Capitalismo: La globalizzazione avrebbe reso il mondo pacifico e felice, cancellando ogni conflitto, le privatizzazioni avrebbero portato ampi benefici a tutti, rendendo i servizi meno costosi e più efficienti, con l'euro avremmo guadagnato il doppio, lavorando la metà, con internet il sapere si sarebbe diffuso incrementando esponenzialmente il livello culturale medio. Si sa che non andò esattamente così, anzi. Esiste però un difetto di fondo, un vizio d'origine di cui raramente si scrive, un difetto che nasce con l'Illuminismo e lo slogan più noto che invoca libertà, fratellanza e uguaglianza, concetti moralmente ineccepibili se presi singolarmente, ma conflittuali e contradditori se assunti in modo aggregato. Una conflittualità che diviene ancor più marcata se esponiamo quella trinomia alla più recente invocazione alla globalizzazione. Nei recenti scritti critici su De Sade filosofo illuminista ho ripetutamente indicato come gli elementi Libertà ed Eguaglianza siano tra loro contradditori, quando l'eguaglianza diviene limite, e limite al ribasso in termini d'espressione di potenziale e di competenza, della Libertà individuale. Parimenti tra fratellanza, in cui l'elemento della solidarietà dovrebbe risaltare, ed eguaglianza il contrasto è palese, laddove se tutti fossero eguali la solidarietà non avrebbe cittadinanza manifestandosi solo in caso di eventuale disparità e diseguaglianza. A maggior ragione può l'uomo Libero limitare la propria libertà per essere solidale col debole o lo sventurato? La Libertà, a ben guardare, è il “concetto limite” che revoca l'insieme sbandierato, e i limiti posti alla Libertà per ricondurre l'individuo al trattato sociale definiscono in misura recessiva la libertà stessa, negandola nella sua dimensione tanto potenziale quanto effettiva. La Legge, si dirà, punta ad ottenere quegli elementi di fratellanza e uguaglianza che l'Illuminismo propone, ma in quanto tale la Legge limita il Libero rendendolo sempre più suddito e sempre meno cittadino. Agli estensori del pensiero originale la contraddizione era nota, tanto che dividevano la platea tra sudditi e cittadini, attribuendo ai cittadini spazi di linertà, ovvero diritti, ben maggiori di quelli spettanti ai sudditi, non molto diversamente dalla Roma imperiale in cui l'essere Cives Romanus segnava una profonda differenza rispetto al semplice vivere nel territorio imperiale. Il Diritto, o meglio i diritti civili, appartengono quindi ai cittadini dello Stato che governa una Nazione che insiste su un Territorio, e questa triade politica, amministrativa e normativa, (Stato – Nazione – Territorio) definisce il perimetro delle concessioni possibili, negandole a chi risiede al di fuori o a chi, raggiunto il Territorio, non acquisisce la cittadinanza. Di più: laddove si desideri affermare la Globalizzazione, il Territorio deve essere comune, farsi Nazione e definire un unico Stato, o identica forma statuale, politica e amministrativa, senza la quale forma comune nulla può essere omogeneo, tanto meno i diritti, civili e legali. Ma rendere omogenei territori, nazioni e stati implica eliminare le singole specificità, le culture originarie, il senso di appartenenza etnico o tribale, in una gigantesca operazione di appiattimento e cancellazione che renda possibile la triade Stato – Nazione – Territorio in un ambito globale di cittadinanza a cui offrire identità ed eguaglianza di diritto. Un sogno impossibile, o realizzabile esclusivamente in forma totalitaria, aggredendo nuovamente l'idea di Libertà.
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