CARO COMPAGNO, OGGI CIPPUTI SI CHIAMA AHMED
Caro compagno dei tempi passati: siamo cresciuti parlando il linguaggio comune di chi aveva sfogliato Marx e Gramsci, leggeva l'Unità, l'Avanti, non trascurava Lotta Continua e rideva alle vignette de Il Male.
Altri tempi, mi dirai, e altre età.
Se ieri sostenevamo ipotesi "cugine" una, la mia, travolta dalla Storia e sepolta ad Hammamet e l'altra, la tua, altrettanto sepolta dalla caduta del Muro, oggi non posso non affermare l'incomprensione.
Per ciò che è diventato il Partito, per ciò che rappresenta, o meglio a mio parere "non" rappresenta;
per il sostegno incondizionato e prono a quella NATO che si voleva fuori dall'Italia;
per l'ammiccamento ad ogni stravaganza e stramberia, anche quelle di assai dubbio valore morale, pur di intercettare un voto;
per il sorriso compiaciuto a diritti che diritti non sono, ma sono piuttosto il placet alla moltiplicazione narcisista e consumista tanto cara al neoliberismo;
per la scomparsa dall'agenda di una visione di futuro;
per la scomparsa della Missione, del cambiamento, dell'Etica e dell'Appartenenza.
Mi fermo: sai meglio di me che potrei proseguire, traducendo la perplessità in critica ostile.
Caro Compagno, quando si comincia a recitare il mantra veltroniano dei "ma anche" si è perso il filo, la direzione, l'orientamento e persino il senso.
In quella politica antica, a cui appartenevamo, c'erano certezze, o idee di certezza, c'era un credo, non un concetto indeterminato, aggrappato ad un relativismo che tutto consente.
Per questo critico e contesto.
Per questo sostengo che mai come oggi è necessario tornare all'idea.
Oggi Cipputi si chiama Ahmed, Maria, Giovanni: incarna tutti i nomi del precariato, veste una tuta di un altro colore ma cerca un futuro a cui aspira e ha diritto.
Ecco: vorrei questo.
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